LA FESTA DI SAN GIUSEPPE A CIANCIANA
La Festa di San Giuseppe celebrata il 19 Marzo, nell’imminente equinozio di primavera, apre il ciclo solare delle feste, che trovano il loro inizio col risveglio gioioso della natura, quando l’inclemente rigore dell’inverno viene soppiantato dai timidi raggi di sole, e dalla festosa esplosione dei colori della bella stagione.
I PREPARATIVI
Il tutto trova il suo inizio, alcuni mesi prima della festa, per non dire che, per chi ha fatto la promessa al Santo di allestire la tavola, già durante il corso dell’anno è tutto un preparare. Durante la stagione estiva si curano i fichi che serviranno per la preparazione di li “cannistri” (biscotti colorati, ripieni di marmellata di fichi, raffigurante frutta e ortaggi vari), si fa essiccare l’uva, e si conservano coperti nella paglia per non farli marcire, i fichi d’india, che verranno esposti sulla tavola.
Tra Ottobre e Novembre si prepara la “’ntrita”, cioè si toglie la scorza delle mandorle, che poi pulite e lesse, serviranno per la preparazione della “cubbaita” (torrone di mandorle, tipico della Sicilia) con cui si faranno: l’aquila, il bastone e i cuori.
A Cianciana è tradizione prepararsi annualmente alla festa del Santo, oltre che con la novena che ha inizio il 10 Marzo, anche con i 10 mercoledì che precedono la festa, con inizio nella prima decade di Gennaio. Inizialmente il numero dei mercoledì era di 7, in seguito alla pressante richiesta dei devoti il numero è aumentato da 7 a 8, da 8 a 9, da 9 a 10. Oltre ai 10 mercoledì, viene solennizzato anche il giorno 19 di ogni mese.
Sia per i mercoledì come per i 19, vi è una famiglia a cui è aggregato un gruppo di persone, il cui compito è quello di raccogliere le offerte tra gli iscritti al mercoledì o al 19, e preparare il pane da distribuire in Chiesa, di addobbare l’altare con fiori, luci e piante, di far celebrare la messa votiva, e fare delle opere di carità in onore del Santo. Questa è una tradizione che viene tramandata da padre in figlio, e non appena il responsabile viene a mancare, immediatamente ne prendono il posto i figli, o i parenti più prossimi, per fare in modo che la tradizione sia portata avanti ancora nel tempo.
Ma il momento più forte dei preparativi inizia subito dopo l’Epifania, quando ha inizio l’allestimento dell’altare, e il procurare tutto il necessario per allestire le cucine, dove saranno preparate le migliaia di pietanze che saranno consumate dalla popolazione accorsa.
Chi ha assunto l’incarico dei festeggiamenti in qualità di Superiore, si sceglie tra parenti o amici due assistenti il cui compito, consiste nella preparazione in casa propria della tavola, che deve superare le altre, in sfarzo e pompa, e organizzare tutto il resto, dalla raccolta delle offerte per le vie del paese, alla contrattazione delle luminarie artistiche, della banda musicale, dei fuochi d’artificio, di impegnare i cavalieri per la cavalcata, di sistemare il fondaco (antico albergo-trattoria), di preparare l’altare in piazza, di organizzare la processione, ecc.
Cinque domeniche prima della festa il superiore e gli assistenti, insieme ad amici e parenti iniziano la questua di porta in porta per tutto il paese, raccogliendo offerte in denaro, che serviranno a pagare le spese affrontate.
A partire dalla metà del mese di Gennaio inizia la celebrazione dei 10 mercoledì in onore del santo, che si concluderanno con l’ultimo mercoledì del mese di Marzo precedente la festa.
L’ultima settimana è la più faticosa e sacrificata, ma è allo stesso modo la più bella e gioiosa. In questa settimana si danno gli ultimi ritocchi alla tavola, si iniziano a preparare le pietanze, gli uomini vanno nelle campagne circostanti in cerca di “lassani”, finocchietti selvatici, asparagi, e ne raccolgono in quantità enormi, per potere soddisfare tutti coloro che visitano le tavole, non solo paesani, ma per la maggior parte, dai paesi limitrofi e anche da lontano, attratti da questa tradizione.
La verdura raccolta dagli uomini, viene pulita dalle donne e fritta. In questi giorni si perde la dimensione del tempo, non si calcola più ne il giorno nè la notte, in quanto è un continuo e incessante lavorare per potere avere la mattina del 19 Marzo, tutto pronto.
Se entri in grandi pianterreni, dovunque ti volti, vedi gente con padelle in mano che friggono: chi i cardi, chi i broccoletti, chi le altre pietanze, chi bagna le verdure nella pastella (impasto di farina, acqua, lievito e uova), chi prepara le sfingi di patate chi prepara “lu Cileppu“(velata) a li “cavateddri” (dolce tipico).
Tutti sono indaffarati, nessuno è mai, per così dire, senza far niente, e tutto questo per rendere onore “a lu Patriarca di San Giseppi“. Questi sono momenti in cui si scambiano idee, si ride, si chiacchiera, si fanno battute, e a volte anche si litiga: ma anche questo, rientra nel contesto della festa, perché alla fine, si è di nuovo tutti in pace, e forse più amici di prima. Lo stare tutti uniti in queste circostanze, è occasione di fratellanza, di aggregazione sociale, di vita comunitaria; il condividere poi tutto ciò che viene preparato, costituisce tutti come in una famiglia, che consuma un pasto insieme, che si riunisce intorno all’unica tavola.
LA VIGILIA
La festa vera e propria ha inizio all’alba del 18 Marzo, con il suono dei tamburi. Più tardi, verso le ore 9:00 la banda musicale fa il suo ingresso in paese e porge il suo primo saluto al Santo, venerato, come ho detto, nella Chiesa di Sant’Antonio.
Da qui, si dirige verso l’abitazione del Superiore, per prelevarlo, e insieme raccogliere per una seconda volta le offerte degli abitanti, che, in questa giornata, al passaggio della banda musicale, saranno molto più generose. Tanti fanno la promessa di appendere le offerte alla plangia portata al collo del superiore. Si prosegue così per tutta la giornata, e mentre gli uomini stanno girando il paese per la questua, le donne sono indaffarate all’ultimo grande sforzo del loro duro lavoro.
Giunta la sera, il superiore, viene nuovamente prelevato dalla banda musicale e accese delle grandi candele, riparate da dei coppi di carta decorati, in corteo viene accompagnato in chiesa per partecipare al solenne canto dei primi vespri vigiliari. Terminata la celebrazione dei vespri, si ritorna in casa del superiore, dove è stata allestita la fantasmagorica tavola, per procedere alla solenne apertura. Da precisare: solo la tavola del superiore, viene aperta la sera del 18 Marzo, mentre tutte le altre si possono visitare a partire dall’alba del giorno 19.
Così per tutta la serata è un continuo andare-venire di gente. A tarda sera gli interessati vanno a preparare il fondaco che servirà l’indomani per la cavalcata e ad allestire la tavola sulla gradinata della torre dell’orologio, molto simile a quella allestita in casa.
IL GIORNO DI SAN GIUSEPPE
La mattina del 19 Marzo, allo spuntar del sole, il sonno degli abitanti, o meglio di chi dorme, dato che tantissime famiglie sono impegnate nel cucinare le ultime pietanze, viene interrotto da 19 spari di maschetteria, intercalati dal suono allegro e vivace della banda musicale che compie un veloce giro del paese, iniziando dalla casa del superiore. Segue poi il giro dei tamburi per le vie che saranno attraversate la sera dalla processione. Sempre verso le ore 09:00 il sacerdote benedice le tavole iniziando da quella principale, e alle 09:30 la banda musicale porge il suo consueto saluto al Santo.
Come il giorno precedente viene prelevato il superiore con gli assistenti per andare in casa della signora Castellano Anna in Abella, a prendere “Li purciddrati” (grande forma di pane circolare) e portarli sull’altare allestito sulla gradinata della torre dell’orologio. Da qui scendendo per la salita Regina Elena, e arrivando all’inizio del corso comm. Cinquemani Arcuri, o corso Nazionale, inizia la tradizionale raccolta delle offerte lungo il corso, che terminerà alle ore 13:00.
E’ tradizione, usare per la raccolta delle offerte in questo giorno, dei vassoi in argento ornati di garofani. Si và poi nella parte alta del paese, dalla famiglia Montalbano/Pendino, per prelevare “I Santi” per condurli nella casa del superiore dove è allestita la tavola per il tradizionale pranzo di San Giuseppe, consistente in 19 pietanze offerte ai tre “Santi“, mentre per tutti vari tipi di pasta, minestra, verdure e dolci a volontà. Chi serve i Santi (solitamente uomini), porta appesa al collo una sciarpa bianca, ad indicare il servizio che sta compiendo.
Rare le famiglie che in questo giorno si apprestano a cucinare, perché per tutti ci sono abbastanza vivande. Fra le pietanze, mai si incontra la carne, in quanto la festa di San Giuseppe, cade nel periodo quaresimale, periodo di penitenza e astinenza.
Alle ore 15:30, il Bambino Gesù, seduto sopra un asinello, con la mano in alto mostrando “Li Tri dè dè” (movimento delle dita della mano, in atto di benedizione, fatto da colui che rappresenta Gesù Bambino) e affiancato dalla Madonna e da San Giuseppe, seguito dal superiore con la plangia al collo e gli assistenti si dirige in piazza per la “Cavalcata”. Qui, la folla di gente accalcata ai bordi delle strade per assiste ancora una volta a una scena che ben conosce: al suono festoso della banda musicale, la sacra famiglia compie tre giri, bussando per due volte in cerca di ospitalità, venendo sempre respinta. Alla terza volta, ecco, che finalmente una porta si apre, è la porta del “Fondaco” e i tre santi personaggi, vengono accolti.
D’un tratto dalla salita Regina Elena, avanza la cavalcata: cavalli, muli, pony, giumente riccamente ornati con nastri, antichi strumenti contadini e immagini del Santo. I loro cavalieri fanno fare a questi animali delle acrobazie, spingendoli ad inginocchiarsi, ballare e anche imbizzarrire, mentre avviene un negoziato tra il “sinzale“ (uomo che faceva da mediatore nelle compravendite agricole) e il padrone del fondaco, affinché mandi via dal suo albergo la Sacra Famiglia, per dare posto a lui e ai suoi uomini. Dopo una lunga contrattazione fra i due, il sinzale raggiunge il suo scopo, e la Sacra Famiglia viene buttata fuori. Non appena escono dalla porta, i presenti salutano i Santi personaggi con un plauso misto a compassione e gioia al grido di “Viva lu patriarca di San Giseppi”.
Non si comprende bene, quale sia il vero significato di questa scena mista di sacro e profano; si potrebbe pensare all’episodio della fuga in Egitto, o con molta probabilità al viaggio compiuto da Maria e Giuseppe, quando si recarono a Betlemme per il censimento, dove, la Vergine, compiuti i giorni del parto, avrebbe dato alla luce il Salvatore.
Finita la cavalcata, tutti si dirigono verso la scalinata della torre dell’orologio, dove è stata allestita la tavola e qui i tre santi consumano la cosiddetta “merenda“, il sacerdote impartisce la benedizione e vengono comunicate alla popolazione le offerte fatte pervenire dai ciancianesi residenti all’estero.
In serata, ci si ritrova tutti nella Chiesa di Sant’Antonio, per la solenne concelebrazione Eucaristica, al termine della quale uscirà, la tradizionale processione. Ormai, da circa dieci anni, la celebrazione e la processione vengono impreziosite dalla presenza dei seminaristi del seminario diocesano di Agrigento. Il Santo viene posto sull’antico e trionfale fercolo, costruito intorno al 1873 dall’artista Giuseppe Di Lorenzo, e preso sulle spalle da una ventina di uomini, esce trionfalmente dalla Chiesa al suono festoso delle campane e della banda musicale che intona l’inno papale. La processione percorrerà le vie cittadine, cioè la tradizionale strata di li Santi.
Ancora una volta San Giuseppe, è in mezzo a noi, visita le nostre case, e al suo passaggio benedice le nostre famiglie. La processione viene aperta dai tre personaggi della sacra famiglia, seguiti dal superiore affiancato dagli assistenti. Durante la processione, quasi ad ogni angolo di strada, ecco gente che per voto, appende ai nastri pendenti dal fercolo, delle banconote. Si vede gente, che segue la processione a piedi scalzi, altri che portano in mano grossi ceri che, tante volte, vengono promessi secondo il peso o l’altezza del graziato: dovranno essere portati accesi in processione fino a che non si consumeranno.
Se nel tragitto della processione si incontra qualche tavola, allora è d’obbligo fermarsi, e la famiglia offre a tutti, vino e dolci. In tarda serata, completato il percorso processionale, giunti in largo Convento, la processione si ferma per assistere ai fuochi d’ artificio, a chiusura dei festeggiamenti. Così, il santo, come trionfalmente è uscito dalla Chiesa, così vi rientra, e non appena viene posato a terra, uno dei portatori del santo, al grido di “evviva lu patriarca di San Giseppi” fa scoppiare tutti in un grande e commosso applauso.
A questo punto si procede, con la benedizione, al sorteggio di una piccola statua del Santo e allo scambio della plangia, dal superiore che ha avuto l’incarico dei festeggiamenti nell’anno in corso, al superiore che avrà l’incarico per il prossimo anno. Il tutto si conclude accompagnando a casa il novello superiore con la plangia che conserverà fino all’anno venturo, quando alla fine dei festeggiamenti la consegnerà ad un’altra famiglia.
LA TAVOLA
La tavola è il simbolo del banchetto Eucaristico e nello stesso tempo convito di beneficenza. Motivo di aggregazione sociale, per la collaborazione del vicinato, dei parenti, di amici, e di tutto il popolo.
L’usanza di fare la tavola o i Santi, come la festa, ha radici antiche. Inizialmente, la tradizione della tavola, nacque con l’esclusivo scopo di onorare San Giuseppe, nella persona dei poveri, come del resto lo è stata la Santa Famiglia di Nazareth, di cui San Giuseppe, fu capo e custode. Al giorno prestabilito, il padrone di casa, invitava, nella propria abitazione, tanti poveri, quanti erano stati promessi al momento del voto. Per tutta questa giornata, questi, erano suoi illustri ospiti, e venivano serviti e riveriti, si saziavano, e portavano a casa tutto ciò che era loro donato.
Col passare degli anni, la tavola da privata che era, diviene pian piano pubblica, e aperta a tutti: non soltanto i poveri, godevano della promessa fatta, ma tutto il popolo. Oggi, il consumismo e la modernizzazione, hanno influito anche sulle tavole di San Giuseppe. Di anno in anno, la pompa, lo sfarzo e lo sciupio sono sempre in aumento, come se la gente volesse gareggiare nell’allestire tavola più bella.
Fino a qualche tempo fa, la tavola non veniva tenuta esclusivamente il 19 Marzo, ma anche in altre date, come il 1 Maggio, festa di San Giuseppe Lavoratore e il 25 Marzo Solennità dell’annunciazione del Signore, comunemente detta, festa dell’Annunziata. Il 25 Marzo, veniva preparata solitamente da coloro che si trovavano in strettezze economiche, per cui, fare la tavola il giorno dell’Annunziata, costava molto di meno, in quanto si preparavano poche cose, dato che la gente che visitava la tavola era meno numerosa del 19 Marzo. Ancora oggi in uso, è in uso, il fare “li Santi fora tempu” cioè, la tavola nei mesi estivi, solitamente nel mese di Agosto; questo è dovuto, o a motivi di lavoro, o perché si aspettano parenti, residenti fuori comune.
Un’altra usanza è quella di “li Santi cugliuti”. Chi si vota al Santo con questo genere di promessa, qualche tempo prima della festa, percorre alcune strade, (dipende il numero che è stato promesso), chiedendo l’elemosina in denaro o in beni in natura. Il più delle volte la questua viene compiuta a piedi scalzi, e tante volte, oltre a ciò che si raccoglie, si aggiunge anche qualche mortificazione, ricevuta da parte di qualcuno. Tutto ciò che viene raccolto, viene dato a qualche famiglia bisognosa. Un’ ultima usanza è quella di donare, di propria tasca, una certa somma o in denaro o in generi alimentari, e questa direi che è la più diffusa.
Preparare la tavola o divenire superiore della festa, nasce da una promessa fatta al Santo per qualche bisogno, o come ringraziamento di grazia ricevuta.
L’unica differenza tra il superiore e il privato che fa la tavola è questa: al superiore, oltre il fare la tavola in casa propria, spetta anche l’organizzazione della festa; la tavola preparata dal medesimo deve essere sempre di numero 3, mentre per i privati, il numero può variare secondo quanti ne sono stati promessi al momento del voto, ma sempre con una base di 3; per il resto, è uguale in tutto e per tutto (la tavola più numerosa che, finora, è stata fatta è per 25). E’ facile individuare una tavola, dalla coperta, solitamente di ciniglia, appesa al balcone, su cui troneggia il quadro di San Giuseppe o della Sacra Famiglia, ornato di palme, arance e rami di alloro, dalla strada riccamente addobbata con palme, e dall’arco di luce che viene fornito per l’occasione dal comitato.
Testo a cura di Roberto Di Miceli, autore del libro “San Giuseppe: vita, culto e tradizioni a Cianciana”, 2006.